Incontro con Piero Martinello a Schio

Incontro con Piero Martinello

Non è un fotografo bulimico, di quelli che scattano foto a più non posso.
E’ piuttosto meditativo e, diciamo pure lento, nell’ottenere le sue foto. Per fotografare Giovanni, uno di quelli che ha definito i “matti di paese” si è messo al suo fianco macinando chilometri e chilometri a piedi prima di chiedergli una foto e quando ha scelto di fotografare, ha portato una Hasselblad su cavalletto, i fari per la luce artificiale e l’ha messo in posa.Martinello01.jpg
Per fotografare le suore di clausura ha girato non si ricorda neppure quanti conventi ottenendo sempre un rifiuto (“La nostra regola, sa …“) e, quando finalmente ha trovato madre Ignazia Angelini che gli ha concesso il permesso di fotografare, si è tirato indietro. Non voleva una foto stereotipata di un viso in penombra dietro la grata, meglio rifotografare la fototessera.
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Come capite non si fanno molte foto in questo modo, si hanno tantissimi contatti con quelli che saranno i suoi soggetti, si instaura un rapporto non superficiale che può (o anche no) sfociare in una foto. Una foto che non rappresenta solo il fotografo, ma anche il soggetto, nel quale il soggetto si riconosce non solo come forma passiva d’arte, ma come partecipante attivo.

E’ un metodo insolito

in un mondo dove in ogni istante si scattano milioni di immagini che poi vengono vertiginosamente scambiate in modo parossistico, Piero Martinello naviga in direzione contraria e solitaria. Fotografa solo ritratti, spesso primi piani esplorando le infinite varianti che questo genere fotografico propone.
Poi medita sul suo lavoro e talvolta lo condivide con qualche amico artista, come i ritratti allucinati dei ragazzi usciti dai rave party, che poi sono stati ritoccati tutti a olio dal pittore Franco Ruaro usando tonalità carbone che accentuassero l’ombra delle foto.
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Eppure la sua presenza crea eventi, come in settembre a Monopoli al PhEst. Giorni e giorni nelle bettole a parlare con la “gente del porto” pescatori e marinai in un settore oggi in crisi, che potrebbe domani scomparire. Un dialogo con l’aiuto di un “mediatore culturale” ovvero di uno che sapesse tradurre il dialetto stretto che si parla nelle osterie. Solo dopo un lungo prologo si arriva alle  foto, che sono state riprodotte in grande formato e appese lungo la passeggiata del porto.
Questo ha  portato un inatteso ribaltamento. Persone di solito trasparenti che  quasi neanche vedi  tanto sono ordinarie, diventano grandi volti, esprimono l’anima della comunità. Una comunità che si trasforma, che va a osservare il proprio viso e il viso degli amici, che controlla che nessun ragazzaccio vada a insozzare quei volti che ci hanno messo una vita a diventare così.
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L’incontro con Piero Martinello

testimonia una modo diverso di fare fotografia, un modo di fare ritratti che non siano semplici selfie, una testimonianza che fare fotografia è anche fare fatica, che una foto non è “dovuta”, non si deve scattare per forza perché io, fotografo,  ho una macchina che costa migliaia di euro e ho deciso di fotografare te; la foto nasce da un contatto e questo dialogo può trasformarsi in un ritratto o anche no.
La serata è stata apprezzata da un buon numero di partecipanti.
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E’stata una rimpatriata

perchè Piero a 15 anni è stato socio del Circolo Fotografico Scledense e le sue prime foto in bianco e nero le ha mostrate nelle riunioni del venerdì di qualche anno fa. Ora Piero è tornato da professionista, carico di molti riconoscimenti internazionali come già detto qui: Radicalia.
Con la serata del 18 novembre scorso a palazzo Fogazzaro è stato un gradito reincontro, siamo in attesa dei prossimi passi di Piero.
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